A passo di gigante

Dal lago Maggiore al Mottarone le emozioni e i mezzi di trasporto si sono alternati in un secolo

Dieci metri al secondo: come un passo di gigante. Una  figura delle fiabe che incede tra il lago e la montagna, trasportando persone e aspettative.

La funivia Stresa-Mottarone ha questa velocità di movimento: è un’esperienza che si può vivere in diversi modi e leggere da differenti livelli di tempo e di spazio. Un mezzo, che può diventare fine e aprire la strada alle riflessioni o dilatare le emozioni. Perché persone, investimenti, emozioni si sono alternati in più di cento anni da queste parti, che si affacciano sul lago Maggiore e non solo.

Siamo sempre sulle orme di qualcuno.

Ovunque la si guardi

Noi siamo partiti da qui, intenzionalmente. Un luogo vicino a noi, eppure così distante, perché aggrappato alle nuvole.

Più di un secolo fa c’era la ferrovia ed era stata una grande conquista, offerta alla popolazione e ai crescenti turisti dal 1911. Vi vediamo salire anche la Nazionale italiana, prima dei Mondiali di calcio, guidata da Vittorio Pozzo. Ma quanti altri personaggi, innamorati di Stresa e di ciò che offriva il territorio intorno, come Ernest Hemingway. Fino a lasciarsi incantare dal Mottarone, all’inizio con il treno.

Il convoglio arrivava a destinazione in un’ora e dieci minuti, percorrendo 10 chilometri e 1180 metri di dislivello, con tratti in pendenza fino al 22%. Il biglietto di andata e ritorno costava 9 lire e valeva 10 giorni. Tre coppie di treni viaggiavano in bassa stagione, mentre in alta raddoppiavano a sei. I treni erano composti da un’automotrice e da un vagone a classe unica che conteneva fino a 110 passeggeri, tra posti a sedere e posti in piedi. https://archiviodelverbanocusioossola.com/2015/12/22/la-ferrovia-stresa-mottarone/

Nel 1945 furono staccati centomila biglietti.

Nel 1963 la modernità prese un altro volto, si fermò il treno e si avviò presto la costruzione della funivia. Benvenuta, creatura degli anni Settanta.

Numeri in viaggio

Anche qui i numeri non sono affatto aridi.  Si parte da Stresa, 205 metri sul mare, primo tronco fino all’Alpino lungo 2.351 metri (dislivello 508). Quindi si riparte da 803 metri e si percorrono 3.020 metri, con un dislivello di 582.

Niente è definitivo nella storia dell’uomo, neanche la tappa finale del Mottarone. Perché qui la funivia conclude il suo viaggio, vero, e accoglie in questa stazione che ha il sapore di tempi lontani, con le sue panchine in legno e la sua aria vagamente spartana. Ma non ci si può fermare a sfiorare la cima, a 1.385 metri: ecco che arriva la seggiovia, capace di portare sulla vetta, dove si dominano le valli, i laghi e orizzonti cangianti con il tempo: siamo a 1.491 metri. Tra questi due tratti che si abbracciano, si può contemplare il gioco delle famiglie ad Alpyland, sui bob a rotaie.Trovate tutto qui.

Perché siamo partiti da qua? Perché per chi come noi è cresciuto in una città di pianura – che doveva allungare la mano per toccare  montagne e lago, figurarsi il mare – questo è stato un primo testimone naturale. Le folle, i gruppi festosi che qui salivano per una solenne polenta e poi l’arrampicata conclusiva, perché la seggiovia non esisteva.

Questi luoghi hanno conosciuto sorti mutevoli, perché le generazioni successive hanno avuto frenesia di conoscere il mondo. Forse un po’ meno quello sotto casa.

Mesi dopo, siamo passati da Cortina d’Ampezzo, fresca di nomina per le Olimpiadi invernali del 2026 con Milano e abbiamo vissuto l’emozione di viaggiare con una funivia, che incede maestosa sulle Dolomiti, tenendo con il fiato sospeso sul tratto finale in particolare, perché sembra decisa ad abbracciarsi appassionatamente con la roccia.

Il Mottarone non arriva ai 2.120 metri del rifugio Faloria, ma il viaggio in quei due round delle stazioni ci ha ispirato la sensazione di essere piccolissimi e maestosi allo stesso tempo. Arditi nel cogliere un paesaggio immenso e tremanti al sussulto della cabina. E viaggiatori nel tempo.

Il lago Maggiore si palesa a poco a poco, tra la vegetazione foltissima in alcuni tratti, mostra le sue località posate sulla costa e le isole Borromee che sembrano scrutarle con distacco. Tre isole, tre mondi così differenti, che qui sembrano fondersi.

C’è sempre un progresso che sfratta un altro.

Eppure a volte mantenerlo accanto all’altro sarebbe un progresso non meno prezioso (pensiamo ai trenini della Svizzera).

Esperienza unica

C’è sempre un momento in cui ci sentiamo vulnerabili. In cui una mamma abbraccia a sé la propria bimba, per catturare insieme un panorama e per quell’istinto di protezione che appare eterno come questi luoghi. In cui la mano che scatta con lo smartphone una fotografia – che probabilmente non stamperemo mai, non diventeranno mai le diapositive condivise con i ricordi di festa da parte di quelle comitive a piedi fino in cima – trema un poco.

La funivia, in qualsiasi punto del mondo, resta quest’esperienza unica. E noi vi offriamo qualche sguardo in altri siti, che ne narrano. Come Funivie oppure posiamo uno sguardo insieme alla Cnn a luoghi spettacolari come questi. Con costanti new entry, riscoperte e meraviglie lontane.

Ma viaggiare, su una funivia, un trenino, in auto, a piedi, è prima di tutto attraversare i tempi. Vedere ciò che si fremeva per ammirare o dove ci hanno portati, tornare a guardarli dopo tanto tempo con occhi nuovi o ancora quelli da bambino, nascosti in qualche parte dell’anima.

Vedere se stessi, prima di tutto, ad alta quota, contando i secondi, chiacchierando, intingendo i pensieri nei panorami o nei volti. E accorgerci, che anche quando siamo in alto, qualcuno lo è più di noi: ci sta osservando da un’altra prospettiva, con i colori del suo parapendio.